Vivere pienamente la consapevolezza della morte, assieme al maestro di meditazione e fondatore dello Zen Hospice di San Francisco, Frank Ostaseski. “Al contrario di quello che crediamo, i bambini spesso non hanno paura della morte.. dice Frank Ostaseski… con alcuni bambini abbiamo fatto un gioco che consisteva nell’andare a cercare cose morte nel bosco”. I bambini hanno raccolto bastoni di legno, foglie, vecchi pezzi di automobile e li hanno sparsi sul terreno attorno a loro. E ciascuno ha poi immaginato cosa potessero essere stati, questi resti di vita, un tempo.
Qualcuno ha suggerito che una di corteccia potessere essere stata il letto di un topo, e che un pezzo di metallo, fosse in realtà un relitto di navicella spaziale. Una bambina ha notato che le foglie secche sono gentili, perché quando cadono lasciano il posto a quelle nuove… Ostaseski insegna a migliaia di americani ed europei la pratica della cura compassionevole dei malati terminali. Nel 2004 ha fondato il Metta Institute, per diffondere un approccio basato sulla consapevolezza e sulla Compassione nella Fase Finale della Vita.. una chiave di interpretazione della vita, nella quale, dal momento della nascita, siamo tutti coinvolti nel “Processo del Morire”. Se vogliamo esercitarci a guardare la morte, dobbiamo allenarci a osservare le fini.. siamo se vogliamo essere invitati a osservare le nostre reazioni – in particolare come affrontiamo la fine di un’esperienza – sia che si tratti di concludere un momento di pratica seduta, la fine di un pasto o di un momento di riposo ma anche la fine di qualcosa di molto più importante.. la fine di una relazione, per esempio.. indaghiamo le nostre reazioni, in che modo ci relazioniamo ad esse. Perché è proprio il nostro il nostro modo di percepirle ed entrare in relazione con i nostri schemi reattivi, che ci può dare una chiave di comprensione di noi stessi e della nostra sofferenza. E anche se ci sembra impossibile, è proprio quando ci separiamo dalla nostra sofferenza che soffriamo di più. “Quando invece accettiamo l’incertezza e la paura che ne derivano, dice Ostaseski, tutto il nostro essere mente-cuore-corpo diventa un po’ più morbido e si tranquillizza, smette di combattere”. Sono consapevole? Di cosa sono consapevole?In che modo sono consapevole? Queste tre domande ci possono condurre per mano nel paese dei nostri processi interni, dai quali molto spesso sfuggiamo, per voltare la testa da un’altra parte. E oltre alle conclusioni – ci dice Ostaseski – osserviamo anche le transizioni, momenti nei quali solo raramente facciamo attenzione a ciò che ci accade. Il momento in cui sentiamo la campana suonare alla fine della pratica, o il momento in cui ci alziamo dal cuscino da meditazione. Come ci sentiamo? Siamo sollevati o dispiaciuti? Coltiviamo la “mente del non conosco” e esploriamo i nostri schemi di comportamento, perché le nostre abitudini hanno molta inerzia e molto probabilmente ci governeranno anche quando verrà la nostra fine.. ed è proprio quando un’esperienza sta per finire e noi siamo in transizione verso di essa che possiamo capire se abbiamo abbastanza fiducia disponibile per andare incontro a ciò che è, perché: “la morte non ci aspetta alla fine di una lunga strada. È sempre con noi, nell’essenza di ogni momento passeggero. È una maestra segreta nascosta in piena vista.. ci aiuta a scoprire ciò che conta di più. E la buona notizia è che non dobbiamo aspettare fino alla fine dell’esistenza per comprendere la saggezza che ha da offrirci.” Cinque Inviti by Frank Ostaseski.. La trappola dell’immagine di sé.. secondo la visione buddhista, sono tre i “veleni” che intossicano la nostra vita: l’ignoranza e le sue due conseguenze: avversione e attaccamento. “Ma siccome mi sembrano parole difficili da comprendere per la nostra mentalità occidentale – dice Ostaseski, preferisco la loro versione più contemporanea, che mi ha suggerito Martin Aylvard, un maestro buddhista: pretesa, difesa e confusione demand, defend e distract.. molto spesso assumiamo un comportamento nel quale pretendiamo di più dal nostro tempo e dalle nostre esperienze – o pretendiamo qualcosa di diverso – come chi ha continuamente il desiderio di riempire un vuoto incolmabile.. a volte invece ci mettiamo a fare la guerra a ciò che ci accade, cercando di difendere i fragili bastioni della nostra esperienza da tutto e da tutti. Qualche volta invece vaghiamo come in una nebbia, ottusi e confusi dalle nostre percezioni erronee. In tutti i casi, la collosità di questi stati mentali fa sì che diventino degli schemi di interpretazione del mondo, molto spesso automatici. “Proviamo a notarli, dice Ostaseski, notiamo con molta cura e precisione i nostri pattern di reazione, ma notiamo anche quando invece riusciamo a rispondere diversamente, in modo libero e aperto!”. Più diventiamo bravi a notare i nostri modi abituali e li accettiamo, più questi si ammorbidiscono. Più le nostre qualità innate di compassione, generosità, gioia e presenza si rafforzano. Quale parte di noi non accettiamo? Come vogliamo apparire ai nostri occhi e a quelli del mondo? Nella nostra estrema difesa dell’identità vorremmo in tutti i modi riuscire a rendere permanente ciò che crediamo di essere: un’immagine di noi stessi alla quale ci attacchiamo – o che rifiutiamo se non corrisponde all’ideale.
“Quando i miei figli gemelli erano piccoli, racconta Ostaseski, facemmo trasferire una loro fotografia su un puzzle. Il gioco era di riuscire a ricomporre quel puzzle di loro due così simili, ma fondamentalmente diversi. Ecco, anche per noi è così: se si potesse scomporre la nostra immagine in tanti frammenti, ci sarebbero dei pezzi che non ci piacciono? Ci sarebbero delle parti alle quali siamo attaccati, che consideriamo irrinunciabili?”. In tutto questo, la meditazione ci introduce in quel panorama interiore in cui tutto il nostro sistema corpo-mente-cuore si ricompone e si riconcilia a se stesso. Senza rifiutare nessuna parte, senza attaccarsi a nessuna tessera di questo magnifico mosaico che siamo noi esseri umani. E l’amore, la compassione più profonda, sono gli stati dell’essere che ci aprono le porte alle parti più vulnerabili e allo stesso tempo più preziose, e che più teneramente emergono nelle difficili condizioni di stare nel continuo quotidiano processo del morire…