Per i Romeni il primo giorno di marzo è il sinonimo della festa delmartisor (diminutivo di “martie”- marzo). Il mărţişor (che in italiano si pronuncia marzishor), simbolo della primavera, si confeziona con dei fili bianchi e rossi, di cotone o setta, intrecciati in un cordoncino che si lega a forma di otto. A questo cordoncino si appende un ciondolo portafortuna, notevole perché può assumere le più diverse forme simboliche (un tempo monetine d’oro o d’argento, ma anche fili di erba, germogli o fiori; oggi fiori, animaletti, cuoricini, eccetera). Le credenze popolari dicono che chi indossa il “martisor” sarà fortunato e in salute per tutto l’anno. Oggi l’usanza consiste nel donare questo ciondolino con il suo fiocco bianco e rosso a tutte le donne, dalle nipoti alle nonne, come augurio di buona fortuna, amore e di buon inizio di primavera. Nel nord della Romania, in Moldavia e in Bucovina, la tradizione vuole che anche gli uomini ricevano questo simbolo della primavera. Chi lo ha ricevuto lo deve portare attaccato al petto vicino al cuore. Il bello di questa festa è la gioia che si sente in tutte le vie delle città, che per l’occasione, già dai primi giorni di febbraio si riempiono di bancarelle, dove è messa in vendita una svariata scelta di martisoare di diverse forme e colori. Nei tempi antichi, il “martisor” era fatto semplicemente di due fili di lana, uno bianco e uno rosso o nero, come simbolo delle due stagioni principali ? inverno ed estate. Le donne usavano fare questo lavoretto, che legavano al polso e al collo dei loro figli. Inoltre, veniva legato sulle corna delle mucche o sulla porta della stalla, per proteggere la casa. Nei tempi antichi, il primo marzo era l’inizio di un anno nuovo, un momento in cui la gente aveva bisogno di proteggersi dagli spiriti maligni. Più tardi, si appese ai fili una moneta d’oro o un medaglione, con una funzione protettiva. In diversi scavi archeologici della Romania sono stati ritrovati dei martisor datati più di 6000 anni fa. Sotto forma di piccoli sassolini di torrente, verniciati di bianco e rosso, si portavano intorno al collo appesi a un filo. Il colore rosso, quello del fuoco, del sangue e del sole, era attribuito alla vita, quindi alla donna. Invece il colore bianco, che richiama la trasparenza dell’acqua e il bianco delle nuvole, era specifico alla saggezza dell’uomo. Questi colori, che adesso ritroviamo nel cordoncino del martisor, esprimono il legame inseparabile dei due principi, come il continuo movimento della materia, il ciclo della natura, con tutte le sue forze vitali. Inoltre, il primo non è solo la festa del martisor, ma anche di Dochia, un’antica divinità che muore il primo e rivive il 9 marzo (l’equinozio di primavera nel vecchio calendario popolare). Dochia ricorda la Grande madre Terra e può essere associata con Diana e Giunone dei Romani e con Era e Artemide dei Greci. La leggenda dice che la vecchia Dochia fosse una cattiva suocera, che il primo giorno di marzo mandò sua nuora in montagna a raccogliere fragole. Per strada, la ragazza incontrò un vecchio che le diede un mucchio di fragole. Nel vedere i frutti, la vecchia Dochia credette che fosse arrivata la primavera. Così indossò le sue nove pellicce (dodici in Moldavia e Bucovina), prese le pecore e andò sulla montagna. Il tempo tiepido le fece togliere le pellicce, una ad una. Ma il freddo e la pioggia arrivarono d’improvviso e la vecchia, insieme alle sue pecore, fu trasformata in ghiaccio, che divenne poi roccia. Così si sarebbe formata la roccia chiamata Babele (le Vecchie) delle montagne Bucegi. La tradizione dice che la vecchia Dochia, che scuote le sue pellicce piene di pioggia o neve, sia tuttora responsabile del tempo pazzerello dell’inizio di marzo…