Weltfish, antropologo americano, nel 1965 scriveva: «di fianco all’arco e alle frecce, la pipa era una delle cose più importanti simboli della tradizione di tutte le tribù indiane americane serviva per rilassarsi e in ogni cerimonia per onorare gli spiriti e avere commercio con loro». Tutte le testimonianze sottolineano come la pace, il commercio, il matrimonio e l’adozione fossero sanciti dall’ uso della pipa perché gli spiriti degli anziani ormai passati oltre arrivavano a rendere sacro qualsiasi patto. Anche i resoconti di viaggio dei secoli XVII e XVIII ne segnalano la funzione particolare per chiudere in modo politico-magico-religioso le relazioni tra sé e gli altri, un altare, un contenitore sacrificale in cui la più sacra delle sostanze, il tabacco, veniva offerta alle sacre potenze. Diffusa in tutte le culture native del Nord America, era chiamata anche calumet, parola di origine francese che significa calamo, canna cava che ne identificava la forma particolare e strana ai bianchi rispetto le pipe a cui erano abituati. Il calumet è composto dal fornello in pietra tenera e dal cannello in legno: il primo rappresentava il femminile poiché rivece la materia erbacea da fumare che viene tramutata in qualcosa di più leggero come il fumo, il cannello, quando unito al fornello, l’energia maschile e il potenziale creatore che agisce da mediatore tra le energie della terra e l’aldilà. Proprio da questa congiunzione delle due parti della pipa si evocavano i due poli che tutto reggono, per questo il fornello e il cannello venivano conservati separatamente, ciascuno in una borsa di pelle ornata. Le più belle pipe calumet furono prodotte dai Dakota, Lakota e Pawnee. Il legno preferito per il cannello era il sommacco (Rhus glabra), ma venivano usati anche il frassino (Fraxinus pennsylvanica), l’acero (Acer negundo) e l’Hickory (un albero che ricorda il noce). La lunghezza variava da venti centimetri a più di un metro e in genere aveva due forme o a sezione rotonda forma maggiormente diffusa nelle pianure settentrionali, oppure a sezione piatta forma prediletta in quelle centrali. Il cannello, ricco di significati simbolici, richiedeva una lavorazione molto lunga e non da poco, era ornato di penne, crini di cavallo, pellicce d’animale, aculei di porcospino e perline di vetro. Da un blocco di pietra, eliminandone l’eccesso si sagomava il fornello, nel quale venivano praticati i fori per il tabacco e per il cannello, che costituivano un problema particolare. Catlin nel 1841 annotò: “Gli indiani praticano il foro del fornello usando come trapano un bastone molto duro, che sia delle dimensioni desiderate, e tenendo nel foro un pò di sabbia abrasiva con acqua”. Il fornello era levigato con selce; quarzite, sabbia fine, midollo di bisonte servivano per la lucidatura. Nel cannello a sezione rotonda, il midollo del legno, tolto arroventando un ferro caldo, lasciava lo spazio per il passaggio del fumo, mentre quello a sezione piatta si otteneva tagliando per la lunghezza il ramo prescelto, si asportava il midollo e poi si univano le due parti con colla naturale, fili di tendine o borchie di ottone.