Nei tempi antichi, gli indiani, raramente sposavano una seconda volta, al massimo veniva consentito ad una vedova di sposare il fratello minore del defunto marito. Il permesso di sposarsi veniva consentito unicamente dalla famiglia d’origine o dal sacerdote del clan. Il fratello della sposa scambiava con il futuro sposo dei regali costituiti dai loro vestiti ed ornamenti, come atto simbolico ad unire le due famiglie. Il pretendente forniva alla famiglia della sposa, cibo e servizi fino al giorno del matrimonio. Spesso, una fanciulla non poteva rifiutare, se i genitori accettavano i servizi e i doni di un corteggiatore. Le giovani donne, alla loro prima mestruazione, venivano separate dalla famiglia e dalla tribù e collocate in un posto vacante a breve distanza dal villaggio, per sette giorni. Durante questo periodo, a nessuno veniva permesso di toccarle. Al termine dei sette giorni venivano purificate con una pulizia totale del corpo e delle loro vesti e fatte rientrare nel clan. Dal quel momento erano pronte a prendere marito. La pratica di separare le donne dal villaggio durante la loro prima mestruazione, non era perché considerate impure, ma piuttosto per la forte energia che Madre Terra donava in questo determinato momento della loro vita e richiedeva la solitudine e la riflessione silenziosa con i loro corpi, come un’offerta sacra alla terra. Era anche una buona pratica di salute, perché alcune donne erano più suscettibili alle malattie durante questo periodo e necessitavano di riposo. I matrimoni indiani sono sempre stati considerati per la vita. Anche se raramente divorziavano. Una delle cause di divorzio era l’infedeltà dell’uomo ,che veniva punita con la fustigazione pubblica da parte delle donne e la separazione della coperta matrimoniale. Nel caso fosse stata infedele la donna, le venivano confiscati tutti i beni ed esiliata in un luogo lontano e solitario. Quando le separazioni erano consenzienti, le proprietà della coppia erano equamente divise ed i bambini rimanevano con la madre. Un sacerdote, o un leader spirituale, non poteva prendere in moglie una vedova, una donna divorziata o una donna con un cattivo carattere. Tra le molte tribù, il matrimonio di un prete veniva approvato da sette consiglieri. La moglie di un sacerdote doveva essere una vergine, di carattere docile e senza macchia. La posizione della moglie di un sacerdote era considerata di grande onore e spesso, fra le donne, ci si aspettava di prendere il suo posto nel caso in cui lei moriva. Era una pratica molto comune tra gli indiani d’america che lo sposo andava a vivere nella casa della famiglia della sposa, dopo le nozze. Alcuni clan costruivano un nuovo sito per la coppia, nello stesso villaggio della famiglia della sposa, vicino alla casa della madre. Lo sposo era sottomesso alla madre della sposa ed obbediva ad ogni suo desiderio. Era sua la sua responsabilità di fornire il cibo, il riparo e la protezione per la famiglia della moglie. Gli sposi erano tenuti a compiere determinati atti di carità al servizio del villaggio, per rafforzare l’attitudine alla formazione di una famiglia più grande. Nel rito la coppia si avvicinarsi ad un fuoco. Allo stesso tempo, i loro familiari e i loro amici circondano la coppia e si tenevano per la mano, formando un cerchio intorno agli sposi. Lo sposo faceva il primo passo e recitava un voto. Poi era il turno della sposa a dare il suo voto. Facevano sette passi ogni volta che recitano un nuovo voto. In alcuni casi, la sposa poteva dare allo sposo una spiga di grano. Il grano simboleggiava la fertilità e la prosperità. Mentre lo sposo poteva dare alla sua sposa una piuma, che rappresentava l’onestà e la verità.