La nostra chiesa era la Natura. Abbiamo perso così tanto. Sebbene le circostanze fossero contro di noi, la colpa è anche nostra. Non abbiamo saputo affrontare lo shock che l’uomo bianco ci inflisse. Sono nato in una cultura che viveva in case aperte a tutti. Tutti i figli di mio nonno e le loro famiglie vivevano in un’abitazione di 26 metri e mezzo di lunghezza, vicino alla spiaggia, lungo una insenatura. Le loro camere da letto erano separate da una tenda composta di canne, ma un unico fuoco comune nel mezzo serviva ai bisogni culinari di tutti. In case come queste la gente imparava a vivere e a rispettare i diritti di ognuno. I bambini dividevano i pensieri del mondo degli adulti e si trovavano circondati da zie e zii e cugini che li amavano e non li minacciavano. Oltre a questa reciproca accettazione, c’era un profondo rispetto per ogni cosa presente in natura che li circondasse. Per mio padre la terra era la sua seconda madre. Era un dono del Grande Spirito e l’unico modo di ringraziarlo era quello di rispettare i suoi doni. L’uomo bianco invece ama solo le cose che possiede: non ha mai imparato ad amare le cose che sono al di fuori e al di sopra di lui. In realtà o l’uomo ama tutto il creato o non amerà niente di esso. La mia cultura dava valore all’Amicizia e alla compagnia, e non guardava alla privacy come a una cosa cui tenersi aggrappati, poiché la privacy costruisce muri su muri e promuove la sfiducia. La mia cultura viveva in grandi comunità familiari, e fin dall’infanzia le persone imparavano a vivere con gli altri. La mia gente non dava valore all’accaparramento di beni privati: tale azione era disonorevole per la nostra gente. L’indiano guardava a tutte le cose presenti in Natura come se appartenessero a lui e supponeva di dividerle con gli altri e di prendere solo quelle di cui aveva bisogno. Ognuno ama dare nello stesso modo in cui riceve.
Capo Dan George
Flauto con Ametista Giulio Brando