Amore incondizionato significa letteralmente amore senza condizioni. È la forma più alta dell’amore, nella misura in cui rispetta la libertà dell’amato senza soffocarlo e senza scadere al rovescio in disinteresse. “Ti amo a condizione che tu faccia questo, che tu sia così come vorrei” è invece un’assunzione non verbalizzata ma implicita all’interno di moltissime relazioni, siano esse fra genitori e figli o di coppia. Si tratta di una modalità profondamente nevrotizzante, perché inchioda il partner a sforzarsi di essere ciò che non è, ad un “dover essere” che schiaccia la sua autenticità e le sue possibilità di realizzazione piena. Solitamente chi non è capace di prendersi cura dell’altro senza al contempo manipolarlo sottilmente è stato a sua volta oggetto di un trattamento analogo nella propria infanzia. I genitori si aspettavano qualcosa da lui, avevano dei progetti, forse perché frustrati nelle proprie intime aspirazioni e desiderosi dunque di un riscatto. Ma quando qualcuno si trova a vivere il sogno di un altro le conseguenze sono nefaste. Dopo molti anni di ubbidienza può irrompere una violenta crisi esistenziale, che, se non capita nelle sue radici, può portare ad azioni impulsive e controproducenti che finiscono con il mettere in scacco ulteriormente una vita già segnata da rinunce e irresoluzione. Chi pone condizioni nell’amare è quindi qualcuno che ha rinunciato a desiderare davvero, a essere libero, a rischiare. L’errore lo ha paralizzato, lo ha fatto indietreggiare. Il miraggio della perfezione ha schiacciato ogni slancio creativo, azzerando la possibilità di riprovarci di nuovo. Ecco che cercherà di colmare la sua mancanza non tanto attraverso passioni vere e interessi davvero propri quanto tramite un prendersi cura dell’altro in maniera totalizzante. Il suo aver dovuto aderire ad un modello lo trasferisce sull’altro, che deve così piegarsi ai suoi diktat. Colui che invece sa amare in maniera del tutto spassionata ha ricevuto questo dono dall’Altro, è stato accolto nel rispetto della sacralità della sua particolarità. A volte però chi è stato “amato male” può invertire un destino già segnato se riesce non solo a ribellarsi alla tirannia a cui è stato esposto, ma a non arroccarsi nemmeno in una posizione di rifiuto perenne. Per realizzare qualcosa, un progetto, un’aspirazione è necessario dire sì all’Altro. Dire solo sì, essere compiacenti, come anche dire solo no, fare solo e sempre il bastian contrario, sono due modi per mancare la possibilità della soddisfazione. La psicoanalisi aiuta chi lo desidera ad intraprendere un cammino verso la separazione dalle aspettative dell’altro, nell’ottica del recupero di un rapporto più armonico con il proprio desiderio. All’interno della relazione terapeutica si sperimenta l’assoluta assenza di domanda da parte dell’interlocutore, intento a dirigere la cura ma non certo la vita del proprio paziente. Uno psicoanalista è sempre dalla parte del desiderio, dunque dalla parte di quella particolarità imperfetta che l’analizzante non riesce a vedere proprio come il un punto di partenza del cambiamento che lo attende. Assumere invece la propria insufficienza, smettere di negarla attraverso la rinuncia o al contrario un’esaltazione compensatoria di sè è l’unica via per ripartire e per ristabilire un rapporto più equilibrato con le attese dell’altro. Se l’ubbidienza e la ribellione mostrano tutta la loro insufficienza nell’aggirare il sentimento di deludere, l’accettazione del proprio tratto originale, vulnerabile e la sua trasformazione in qualcosa di creativo, che mette in movimento, può sganciare da tale corpo a corpo mortifero. Allora, a partire da una rinnovata alleanza con la propria insufficienza, sarà possibile amare incondizionatamente, prendersi cura del partner o di un figlio tollerando le sue fragilità, le sue manie, le sue deviazioni, tutto ciò che lo rende unico, vivo e libero. La relazione non sarà più una prigione ma un dono prezioso, mai però garantito. Perché amare senza gabbie espone sempre al rischio di perdere, di venire delusi, di soffrire…